La riforma che vorrei

Ci siamo quasi.

Manca poco (o forse tanto?) e la cosiddetta Riforma della “buona scuola” andrà in porto. Dopo tanti annunci, dopo un insolito confronto digitale – la consultazione online -, dopo e nonostante le continue giuste proteste dei sindacati e delle associazioni di categoria. Ora, premesso che ormai a fatica trovo chi condivide pienamente il mio pensiero e quindi mi possa rappresentare, voglio togliermi qualche sassolino, inimicarmi qualche collega o amico, ma dire ugualmente qual è la mia idea di una buona scuola, di una buona riforma.
Certo, non è un trattato di pedagogia scolastica; sono piuttosto pensieri sparsi, impressioni, idee frutto di esperienza, di fatica, di precariato, di palle piene a sentir discutere tutti su ogni cosa e richiedere solo ed esclusivamente diritti e mai porre in dubbio i propri doveri o la percezione di un mondo che cambia.

L'arte di insegnare

L’arte di insegnare

 

1. Partiamo da un punto chiaro: il precariato è la piaga sociale di questo società e, soprattutto, di questa professione. Sarebbe meglio non avere proprio un lavoro piuttosto che rimanere nel limbo di un’accidiosa attesa che ti porta ad aspettare una chiamata, un telegramma, un’email o a non programmare nulla perché non sai cosa farai quel giorno, dove starai, quanto sarai impegnato. Io che ho vissuto un anno intero senza avere una supplenza (e “ringrazio” la Gelmini), posso dire che è qualcosa di orrido, di svilente, il contrario di quella dignità umana che ogni professione dovrebbe attribuire. In più il precariato porta – per colpe non tue – a pagare di prima persona la mancanza di servizio svolto. Nell’ultimo aggiornamento ho inserito i 2/3 di punteggio utile, trovandomi, dopo 7 anni di servizio e migliaia (non scherzo) di studenti conosciuti, ancora più dietro di chi magari si è trasferito, ha insegnato in scuole private (spesso da leggere come diplomifici statali o confessionali), etc.

Io sono favorevole da tempo a una graduatoria nazionale, almeno nei primi anni di servizio: perché non vi siano province sature e altre scariche; perché non ci si incancrenisca in un territorio, ma si spazi e si conoscano le diverse realtà; perché si può portare la propria ricchezza e appartenenza culturale in altri mondi; perché si superino i pregiudizi territoriali; perché si ritorni a parlare una lingua nazionale unica e non si giustifichi – col folklore – l’ostinatezza di alcuni insegnanti che parlano in dialetto (o con una forte inflessione) ovunque. E sono favorevole anche a spostarmi per avere finalmente questo dannatissimo ruolo. Certo, il paradosso è che dopo 8 anni sono costretto a spostarmi, a 35 anni sono costretto a prendere una decisione che continua a incrementare quel precariato esistenziale che non mi abbandona mai. Ma lo farei sapendo che questa potrebbe essere una scelta vincente per le nuove generazioni di insegnanti.
Sono, inoltre, favorevole al blocco della terza fascia delle Graduatorie di Istituto (perché solo chi è abilitato deve insegnare); a un corso specifico per l’insegnamento (sul modello SSIS) da conseguire solo dopo il conseguimento della laurea quinquennale, a numero chiuso e con procedure concorsuali; al ruolo per gli eventuali precari storici, i docenti SSIS e – solo a seguire – a TFA e PAS. Non me ne vogliano i tanti amici, ma TFA e PAS sono stati inseriti solo per far cassa e hanno continuato a creare caos nelle già caotiche Graduatorie a Esaurimento. Col rischio di garantire tutto a tutti, i sindacati non hanno garantito nulla a nessuno.

2. Inoltre, chi è nella scuola sa benissimo la drammatica condizione infrastrutturale in cui versa la scuola. Terrificante. Presa diretta ha fatto un discreto servizio sulla decadenza materiale delle classi, dei corridoi, delle palestre. Insomma, uno squallore che si fa sentire a livello di sicurezza e di esteticaSicurezza perché si vive in un rischio continuo; estetica perché il bello è funzionale al buono, alla qualità, al rispetto e alla dignità. Studiare o lavorare in una scuola brutta non dà né gratificazioni né motivazioni. Aliena, incattivisce, inaridisce.
Sarei favorevole a un blocco temporaneo di investimenti nel settore della Difesa (leggasi F-35, spedizioni di peace keeping, etc…) per un sostanzioso intervento di riqualifica delle strutture scolastiche. Teniamo le scuole ferme per due mesi alla faccia dei giorni legali o iniziamo a fare lezioni all’aperto, lavoriamoci sopra e rinnoviamole con un piano di occupazione speciale e qualificato. Siamo in Italia, sì, e questo oltre che un limite (corruzione) può essere anche un pregio. E poi, a chi sporca, rovina, abbandona e danneggia siano applicate pene esemplari. E smettiamola di avere in contemporanea LIM e Tablet a scuola (spesso obsoleti) e finestre rotte, così siamo patetici.

3. In più c’è il gran problema di noi insegnanti. Un problema maggiore del mondo che cambia, delle nuove generazioni, del principio di autorità che viene meno, dell’invasività dei social. Siamo il problema maggiore perché è da noi che dipende il resto (lo sottolinea, fra i tanti, M. Recalcati nel suo L’ora di lezione) e tramite noi il resto torna ad essere un fenomeno storicizzato. Tutto dipende quindi dalle nostre scelte didattiche, dallo stile della nostra presenza in classe, dalla capacità di relazionarsi con gli studenti, dalla capacità di fare rete con i colleghi, dal testimoniare il giusto equilibrio dei diritti con i doveri, dalla capacità di farci valutare e correggere, dalla possibilità di accettare degli sbagli, e così via. L’insegnante è realmente una professione difficile, a rischio di burnout, senza contare chi è già esaurito e continua a insegnare, facendo seri danni. Ma l’insegnante è una professione che deve riconoscersi diversa perché è cambiato l’insegnamento e il modo di insegnare. L’insegnante – svuotato da quei principi di autorità che fino a qualche decennio fa hanno retto – deve essere in grado di farsi valutare, di gestire la profonda trasformazione culturale e informatica che caratterizza gli studenti, di dialogare con loro e di entrare nella dinamica dei loro problemi, delle loro fragilità psichiche, dei loro lutti non elaborati, di appassionare e far appassionare gli studenti sul proprio percorso di studi, di trovare nuove forme di didattica.
Sono favorevole a degli esami di lingua inglese e di tecnologia informatica per certificare o meno le competenze a riguardo; sono favorevole ad una forma di valutazione del corpo docente in un sistema integrato (Studenti, Dirigente scolastico, Personale ATA, Colleghi) e superare così la logica del sospetto; sono favorevole a un maggiore controllo da parte del Dirigente scolastico sull’attività didattica dei docenti, con eventuali sanzioni e allontanamento. Sono favorevole a una diversa formazione degli insegnanti, dando loro sia l’opportunità (controllata?) di autoformarsi – cinema, libri, riviste specialistiche – sia prevedendo seri e utili corsi di formazione su tematiche calde, quali l’Handicap, i DSA e i BES, etc…

4. La didattica va rinnovata: ampliandola e diversificandola. I programmi si stanno sempre più riducendo, i testi scolastici sono sempre più brevi, sempre più a fumetti, con schemi spacciati per mappe concettuali e immagini che di formativo hanno poco. Bisogna ritornare a discutere di contenuti, di trasmissione del sapere. Uscire fuori dall’ormai defunto pedagogismo che toglie la conoscenza per glorificare la competenza: questo modello ha fallito, così come ha fallito l’eccessivo peso dato al voto. Bisogna riscoprire la bellezza di insegnare, la passione dell’insegnare! Bisogna testimoniare che ciò che si sta insegnando non è carta morta su testi insulsi, ma vita.
Sono favorevole a un ripensamento degli spazi didattici, a lezioni all’aperto, a una modularità delle ore durante la giornata, a settimane specifiche su alcune materie, a programmi disciplinari realmente trasversali.

5.cicli scolastici sono fatti male, perché frutto di scelte politiche conservatrici e non psico-pedagogiche. Bisognerebbe rimodulare la scansione degli anni nel percorso d’insegnamento sin dalla scuola primaria, portando i ragazzi a riflettere su più materie, dando loro strumenti sui quali possono compiere la scelta della professione senza il falso mito delle materie inutili (la filosofia è più utile dell’economia. Credetemi.).
Sono favorevole a rimodulare i cicli, anche sulla base della riforma Berlinguer/De Mauro cestinata anzitempo. In questo modo possiamo anche far terminare a 18 anni il ciclo scolastico senza troppi traumi, ma sapendo il tipo particolare di percorso che si è fatto prima. Sarei favorevole all’eliminazione della scuola media, modificando gli ultimi anni delle elementari e i primi del liceo e creando così diversi passaggi in cui alcune materie vengono dichiarate necessarie in tutti gli anni (arte e musica in primis, italiano, filosofia, matematica, storia, due lingue straniere, educazione fisica), altre vengono pian piano sommate (Latino, Fisica, Biologia, Scienze Umane) e vengono poi creati indirizzi specifici (Economia, Greco, Terza lingua, Chimica, etc…).

6. Le classi di concorso devono essere rimodulate, semplificate e in qualche maniera non è possibile che vi sia uno “spostamento” calcolato. Sì, mi riferisco soprattutto a chi accede su sostegno e poi si trasferisce su cattedra. Proprio a loro mi riferisco. E mi spiace, so che molti colleghi e amici hanno compiuto questa scelta (finché la legge lo prevede, dopotutto, perché no?), ma io sono sempre stato contrario e se non troviamo questioni a livello deontologico (e ce ne sarebbero da sollevare), troviamole a livello psicologico: la disabilità è una cosa particolare, spesso grave e ancor più spesso gli interventi che si fanno devono essere specifici, mirati, competenti e duraturi nel tempo. Nonostante una  speciale specializzazione, i docenti di sostegno spesso sono pochi, poco competenti, sanno di essere “a tempo” perché poi si passa nella propria classe di concorso e così via. Bene che vada, sono più mossi da sentimenti caritatevoli e sensibilità legata a meta competenze acquisite diversamente, che a serie competenze certificate. Sempre più spesso, inoltre, il malcapitato ragazzo disabile, per colpe ovviamente non sue, sperimenta più approcci, gli si accostano tante (troppe?) persone, mal assortite e che non sanno compiere – perché alcune cose non si sanno e non basta un corso – seri percorsi nel sostegno.
Sono favorevole a un semplificazione delle classi di concorso, a una ripartizione equa delle ore di insegnamento per classi di concorso (lavorando, in questo caso, sui programmi), a una seria divisione tra Sostegno e Classi di concorso ordinarie.

7. Una riflessione politica: la scuola dovrebbe essere al di fuori di logiche di governo, ma dovrebbe avere uno statuto a sé, come la tutela dell’Ambiente e la Salute. A mio avviso questi tre ministeri dovrebbero essere enti che non patiscono più di tanto l’altalenanza politica e che dovrebbero garantire un funzionamento continuo oltre le crisi di governo.
Sono favorevole a creare enti separati, guidati da tecnici e con una partecipazione della politica in cui vi sia spazio di confronto, di dialogo e non di carrierismo sul futuro della scuola, sulla didattica, sull’educazione e sull’istruzione; con l’obiettivo di stabilizzare un percorso didattico e non siano quindi mossi dall’incapacità dei politici di turno, governati dal rendiconto e forieri di ignoranza.

Ecco i miei two cents.

Marco Caporicci

"Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione insegnante della specie più misera, precario di scuola in scuola"

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2 risposte

  1. Caterina ha detto:

    Ciao Marco, provo a
    scrivere la mia opinione seguendo i tuoi punti:

    1 – Il precariato è una piaga sociale storica. Dopo una giovinezza da precaria,
    dopo aver lavorato per anni nella stessa scuola su cattedra vacante, dopo
    essere stata “licenziata” ogni anno alla fine delle lezioni, adesso, nel caos
    più totale assisto al ripetersi delle stesse dinamiche, delle stesse
    ingiustizie, forse con maggiori proteste da parte dei precari di turno, ma con
    i medesimi risultati. Questo non significa che dubito che si possa cambiare, ma
    credo che per cambiare si debba essere più compatti, combattivi e propositivi.

    Prima di qualsiasi SSIS, TFA, PAS, dovrebbero essere immessi in ruolo tutti i precari, prima di creare nuove leve di illusi da derubare in senso reale e metaforico.

    2 – D’accordo sull’estetica e sulla sicurezza. Mi
    chiedo sempre, quando vedo un edificio fatiscente, grigio e deprimente, perché
    posso dire con certezza che si tratta di una scuola o di un ospedale?

    E anche se riuscissimo ad avere edifici adeguati, sicuri, luminosi, puliti, con
    ampie aule silenziose, che non affaccino su strade densamente trafficate…c’è
    bisogno di lezioni all’aperto! Lezioni nelle ville, in modo che i ragazzi siano
    educati alla natura e imparino così ad amarla e rispettarla.

    E nessun blocco TEMPORANEO degli investimenti nella difesa, bensì un blocco
    TOTALE. Sono convinta che serva l’educazione alla pace e che la lezione della
    NON-VIOLENZA sia l’unica da accettare come eredità da trasmettere.

    Su LIM e tablet aprirei un capitolo talmente lungo che momentaneamente rimando …

    3 – Non credo ci sia un’età per fare seri danni agli allievi, credo invece ci
    siano personalità che sono deleterie e persone che, nella loro umiltà, possono
    veramente essere da stimolo positivo per gli allievi, non credo ci sia un’età
    per essere un bravo insegnante, c’è chi
    non lo sarà mai, chi lo è e ha buone possibilità di esserlo per il resto della
    sua carriera.

    I principi di autorità sono molto diversi oggi, anche perché c’è una forte
    mancanza di rispetto, nella società e
    nelle famiglie, i docenti oggi lavorano sotto il fuoco incrociato di
    studenti, genitori e alcune tipologie di colleghi, che conoscono la legge
    dell’urlatore più forte o di chi suscita maggior terrore. I docenti di oggi
    hanno il compito arduo di essere rispettati come esseri umani oltre che come
    docenti. Il rispetto non conquistato con la forza del potere del voto, in effetti non sarebbe reale, il rispetto
    credo si possa ottenere insieme alla fiducia, alle domande di chi si affida
    curioso a chi ha qualcosa da dare e da dire e puo’ farsi guida momentanea.

    Non credo a un sistema di valutazione, soprattutto così come si sta tentando di
    farlo passare,

    Oggi, in Italia, in questa scuola, l’ultimo dei problemi è la valutazione, per come
    si prospetta, si sfocerebbe in un iniquo controllo che invece di contenere ed
    evitare i danni degli incompetenti, ucciderebbe la libertà imbavagliando i
    pochi “illuminati” della vera scuola. Oggi per come si prospetta la situazione
    valutare è appiattire e controllare secondo canoni ambigui che vorrebbero
    un’omogeneità quanto meno sospetta.

    Fondamentale la possibilità di aggiornamento per tutti i docenti, che abbiano tempo (pagato) per poter fare aggiornamenti seri (non online) anche su contenuti che
    riguardano le proprie materie, così da poter ampliare il respiro dei propri
    discorsi, ampliare il proprio orizzonte culturale, alienato dai manuali e dalla
    ripetitività.

    4
    – D’accordo su un cambiamento della didattica, basta nozionismo, basta togliere
    ore alle materie fondamentali, tra cui Scienze e Filosofia, basta manuali.
    Facciamo spostare gli studenti da una classe all’altra, che le aule diventino
    laboratori in cui si fanno attività specifiche per ogni materia, basta con i
    programmi (parlo per le mie materie) fiume di italiano e di storia, sarebbe più
    utile e interessante che gli allievi imparassero a leggere e pensare, a fare
    una ricerca approfondita, ad appassionarsi a un autore, piuttosto che sapere
    per mezz’ora la vita di tutti gli scrittori italiani…E poi la letteratura
    straniera…e gli autori contemporanei…e la storia senza elenchi di nomi, guerre
    e date ma con argomenti che rispondano ai perché più pressanti dell’oggi che
    nascono dalla conoscenza delle radici nel passato.

    6 – Non sono d’accordo con alcuni punti di quanto scrivi, è un altro discorso lungo e complesso e mi riprometto di
    riprenderlo in un altro momento.

    7 – D’accordo, qualora si riesca a creare un ente e non un territorio controllato
    da “imprenditori” della scuola.

    • Marco Caporicci ha detto:

      Ciao Caterina! Ti rispondo intanto qua, avremo comunque modo di parlarne a voce!
      1. È quello che dicevo anche io: prima si assume dalle GaE e poi, soltanto dopo, si prevedono nuove modalità di reclutamento. Personalmente poi, per la particolare delicatezza della professione docente, non lo farei mai per concorso, ma per corso. In questo modo si potrebbe essere realmente seguiti, valutati e – in casi estremi e in funzione preventiva – estromessi.
      2. Le varie minacce dell’ISIS mi fanno pensare che un blocco totale sia allo stato attuale impraticabile. Bisognerebbe capire come coniugare una razionalizzazione delle forze armate (necessarie, anche per “sincere” operazioni internazionali) e un maggiore introito di risorse per altri capitoli di spesa.

      3. Tante cose:
      a) è vero, non c’è un problema di età per chi genera problemi ai ragazzi. Ma c’è distanza, spesso, tra il quotidiano vivere di un adolescente e un non più motivato insegnare di un vecchio docente.
      b) la valutazione è necessaria, io credo così. Non è assolutamente necessaria il paradigma valutativo in cui un certo pedagogismo sperimentale ha preteso che finisse la scuola italiana. Per cui valutare significa molto: mettersi alla prova, uscir fuori da sé, tentare di far valere un proprio percorso critico, dimostrare quanto si è studiato. Lo stesso vale anche per i docenti, purché sia rispettosa della dignità propria di questa “missione”.
      c) D’accordo sulla valutazione

      4. Globalmente d’accordo. Non ho ancora un pensiero formato sulla scelta americanofila di lasciare un’aula al docente col cambio dei ragazzi, creando così un corso di studi “facoltativo”. La ricchezza del gruppo classe, l’ora di lezione, etc., a mio avviso vanno preservati.
      5. (…)
      6. Ne riparleremo!
      7. Esatto, il senso mio è questo. L’istruzione, così come l’ambiente e la salute, devono essere statali e mai privati. Questi ultimi possono, a titolo gratuito, aiutare e contribuire senza pretendere di condizionare, in qualsiasi modo, le suddette istituzioni.

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