Futuro precario
Se si potesse riformare la nostra grammatica e riformulare le coniugazioni dei verbi, proporrei di introdurre questo tipo di futuro, il futuro precario.
Basterebbe poco a pronunciarlo e anzi, i primi sostenitori e promotori di questo nuovo modus parlandi potrebbero essere coloro i quali si trovano nella mia situazione.
Mi trasferisco a qualche anno fa quando, nel lontano 1998 iniziavo a costruire la mia fortuna universitaria barcamenandomi tra il piano degli studi e le classi di concorso. Poter insegnare le materie per le quali da lì a poco mi sarei laureato era un bel sogno da perseguire e la possibilità di poter aggiungere ad esse la lingua italiana nonché quella latina (allora si poteva) furono per me un incentivo concreto.
Invece no.
I primi sogni conobbero l’asprezza della realtà e il millennium bug colpì anche il ministero della pubblica istruzione per cui il mio corso di laurea non fu più considerato abilitante e non potevo, ahimè, insegnare più materie di quanto avevano previsto. Pazienza, un primo addio alla lingua dei padri e a quella dei nonni e via, in vista della laurea e di ciò che sarebbe arrivato dopo.. cosa? boh…
Anni dopo, passato l’ardore informatico (utilissimo invero) che mi condusse a rallentare un po’ la corsa, mi laureai alla splendida età di 24 anni – il quarto di secolo alle porte- e giovine carne da macello tentai, con un po’ di studio estivo, di tentare la sorte verso un quadro didattico più ad ampio respiro: dottorato o specializzazione per l’insegnamento.
Quel misto di fortuna e di bravura mi condusse, ringraziando i raccomandati all’università, a poter entrare nella ssis – la stessa che ora si è chiusa – attraverso un discreto esame d’ammissione e a iniziare a frequentare, in cattività, tre lunghi anni. Certo, fare la ssis voleva significare fare ciò che avevo appena affrontato all’università: corsi di psicologia dello sviluppo, di sociologia, di pedagogia, di didattica… speravo quindi di poter saltare a pié pari un anno almeno.
Invece no.
E via col replay di molti esami fatti, di molti professori conosciuti e che avrei voluto sinceramente evitare. Così non avvenne, e fu sera e fu mattina. Tre anni passarono, molti amici-colleghi incontrati, belle esperienze di tirocinio, pessime lezioni di formazione. Eppure il futuro precario, quello per cui tu dici: bene, dopo 4 (che divennero 6 ma poco importa) + 2 + 1 (tre anni corrispondono a due abilitazioni)… cioè dopo 7 anni di studio avrò diritto al lavoro, all’inserimento diretto in graduatoria…
Invece no.
Per il mio ciclo ssis le porte della graduatoria non si aprirono, e furono contestazioni, incontri in collettivo, manifestazioni. Cambierà qualcosa, gridavamo!
Invece no.
Le graduatorie si aprirono l’anno successivo e fu subito bolgia. Intanto si iniziò a lavorare in una scuola privata, sottopagati e con sforzi di orario incredibili. Si iniziarono a sentire agli esami cose inenarrabili – dal libro di Socrate al fratello gemello dell’Emilio di Rousseau e così via – nonché ad aspettare compensi di lavori svolti che allora speravamo potessero arrivare subito.
Invece no.
I soldi non sono arrivati tuttora e non so se arriveranno. In graduatoria ci sono entrato e per fortuna l’anno scorso ho iniziato ad insegnare alla scuola pubblica. Da dicembre… ma ho iniziato. Continuerò, ne sono sicuro!
Invece no.
Non ci sono convocazioni, cattedre disponibili, spezzoni varii. Ci sono solo i tagli, arroganti, pretenziosi e ignobili, per il corpo docente, per ristabilire gli equilibri di cassa di governi che non sanno distribuire equamente le risorse a quei settori che più dovrebbero esserne beneficiari.
Sentivo oggi un’intervista al primo ministro danese: loro puntano sull’istruzione sopra ogni altra cosa, perché sanno che da lì tutto comincia. Sarà anche per noi uguale?
Invece no.
Da noi non è così, da noi si donano soldi alla difesa, ai benefici elitari delle masse, alla conservazione dei privilegi clientelari delle lobbies. Da noi non è così.
Mi avvio alla conclusione citando un’avvenimento successo l’anno scorso, in un quarto liceo.
“Prof, ma lei ci sarà l’anno prossimo?”
“No, mi spiace.. è quasi impossibile che ritorni qui”
“Ah e come mai?”
[segue spiegazione tra classi di concorso, graduatorie, chiamate, immissioni in ruolo e così via]
“Capito… e quando avrà una cattedra?”
“Se le cose stanno così (notare il futuro precario), penso tra 5, 6 anni”
“Insomma quando non avrà più l’entusiasmo di ora”
“…”
Così dopo anni di studio e di speranze, di entusiasmo mai scemato – spero confermeranno i miei ex alunni che leggono questo blog – mi trovo qui, a declamare versi in un futuro precario.
Al momento la rima non c’è e se mai ci sarà sarà veramente da preoccuparsi.
Ironia della sorte…sai che questa situazione sta portando anche me a scrivere…il libro di Socrate!!!
Chi ha orecchi per intendere, intenda. 😉
Ehehe, su su diciamocelo: coraggio! 🙂
non mi resta che scuotere il capo davanti a questa lettura..
so che non è facile ma cerchi di essere sempre quell’insegnante fantastico che è stato quest’anno, sorridente, amichevole e insegnante!
non tutti sono come lei, c’è chi lo era ma si è invecchiato e porta i suoi umori e le sue frustrazioni all’interno della classe. Lei invece riusciva a tenere i suoi problemi sempre fuori dalla porta, prima di entrare. Ed è anche questo che l’ha fatta grande.
Se un ragazzo pensa che tutto fa schifo e vedendo lei, un ragazzo giovane che ci crede, bè, forse anche quel ragazzo può crederci; ma se vede che anche uno un po’ più vecchio di lui è spento e a ventinove anni si sente arrivato..bè credo che non so quel ragazzo..ma il futuro della nostra nazione si sentirà arrivato!
ps: quindi lei cerchi di andare avanti nonostante tutto..perchè io in lei ho visto la gioia di insegnare e ha trasmesso a molti quella di imparare..
volevo commentare… ma la speranza nel futuro e l’incoraggiamento da parte di verezza dicono tutto.
a volte le nuvole sono nere e dense… ma sopra di esse il sole c’è sempre. magra consolazione… ma aspettiamo che rischiari…
capisco la tua situazione, credimi, i miei genitori lavorano nella scuola da sempre, mio padre ha avuto la fortuna di iniziare a lavorare prestissimo come professore perché erano altri tempi, c’erano tanti studenti, tante classi. poi i tempi sono cambiati, la scuola è cambiata ma mio padre è rimasto sempre in prima fila, a combattere, pur nelle difficoltà e non ha mai perso l’entusiasmo perché non poteva perderlo, non poteva, non poteva per i suoi alunni e per il suo ruolo dei quali aveva rispetto, quel rispetto negato dallo Stato, dall’alternarsi dei governi.
e ti capisco anche per la mia esperienza personale… perché anche se ho scelto un percorso di studi diverso, alla fine le casse dello stato fanno acqua da tutte le parti e prima che io inizi ad avere la speranza di un lavoro pagato per poter vivere decentemente e liberarmi del peso di dipendere dalla famiglia e quindi di non avere piena scelta sugli indirizzi della mia vita passeranno ancora molti anni.
ma teniamo i nervi saldi, non facciamo trovare abbattuti quando le nuvole saranno passate e tornerà a splendere il sole.
volevo dire… non facciamoCI trovare abbattuti…. e bla bla bla…
🙂
Tagli alla scuola, tagli dei docenti. Maestri/e, professori/esse che con il loro lavoro (precario o non, sottopagato o adeguatamente retribuito) che magari fanno chilometri e chilometri al giorno per raggiungere scuole di sperduti paesi (e spesso per nulla rimborsati delle spese di trasferta) verranno messi sulla strada, con una famiglia a carico e tutte le conseguenze del caso.
I tagli li fanno alla scuola,
NON LI FANNO alle auto blu
NON LI FANNO ai loro stipendi (3 volte superiori a quelli dei loro colleghi europei)
NON LI FANNO ai loro privilegi
NON LI FANNO a chi lavora per un avvocato e prende dallo stato 1000 euro (???) l’anno
NON LI FANNO ALLE PROVINCE quando invece lo avevano promesso in campagna elettorale.
La colpa è solo nostra, siamo un paese di rimbecilliti e di pecore. La colpa è della sinistra (che se in molti paesi andando al potere ha portato miseria terrore e morte, e qui dopo 2 anni di INCONCLUDENZA ci ha riportato Berlusconi).
Ripenso all’Italia sdegnata di tangentopoli che che voleva la testa di CossiGGa e lanciava le monetine a Craxi indignata al primo colpo di vento. Penso all’Italia di oggi che non batte ciglio dopo il lodo Alfano… Chi ha orecchi per intendere intenda…
PS Tieni duro!
Grazie a chi ha commentato, c’è poco da dire. Come purtroppo c’è sempre meno da fare poiché leggo che:
– in questi tre anni verranno bloccate le immissioni in ruolo (graduatorie semi-bloccate: ci salvano i pensionamenti e le morti);
– è prevista una “riconversione professionale” per chi è in graduatoria ma non potrà entrare in servizio: la Gelmini ha proposto (ed è cosa vera) di tramutarci in operatori turistici;
– si prevede di ridurre le classi di concorso da 70 a 10, con una confusione disciplinare e metodologica da far paura;
– etc.. etc.. etc..: ogni giorno ha realmente la sua preoccupazione… crescente!
Nel lasciare spazio ad altri commenti, che spero vengano copiosi, vorrei lanciarvi un appello: uno stato senza istruzione, o con un’istruzione sul modello aziendale, e con pochi professori significa un paese che non crescerà culturalmente o, se lo farà, crescerà male, molto male… peggio di come sta venendo su ora.
Ribellatevi anche voi, nei vostri blog, nei vostri spazi e con i vostri amici. Fate risuonare la voce della protesta.
Non ce la debbo fare solo io, ce la dobbiamo fare tutti.
Certo poi uno se si voleva aprire u ‘agenzia di viaggi studiava 7 anni?
In più, ormai il turismo in Italia è morto, tra spazzature, violenze ai turisti, mafia e Berlusconi a go go, chi ci deve andare in Italia? Vi poteva riconvertire in qualcosa di più concreto? Che so, in ministri! Tanto ormai chiunque va bene per fare il ministro. 😛
Coraggio, amadè, coraggio. Che quando hai avrai la cattedra, ti mando il mio portiere per montarla 😛
Ciaoooooooooooooo
Nia