Retromarcia, finché possibile!
Prestes fides supplementum sensuum defectui
Così cantava e lodava Dio San Tommaso d’Aquino nella suo celebre e importante “Tantum Ergo”.
Ora c’è da capire il nesso tra una frase latina, la retromarcia e l’imperativo del tempo caduco.
Laddove i sensi ci lasciano interdetti, increduli e nel dubbio più buio, serve un atto di fede che ci possa riscattare e, per certi versi, autodeterminare nella Sua libera sequela. La fede diventa – anzi, rimane – il salto trascendentale al quale siamo chiamati nella nostra corporeità.
Desacralizzando un minimo il concetto, potremmo facilmente applicare quanto detto anche ad altri ambiti della nostra vita, come quello socio-politico. Il sensuum dell’Aquinate è l’incertezza del dubbio esistenziale. Il nostro, di senso, è la precarietà – sempre esistenziale – della nostra condizione umana. Precarietà, come spesso si ripete in questo blog, che poi si ripercuote globalmente in ogni aspetto e in ogni atto presente, e quindi futuro, che si voglia intraprendere. Il laico atto di fede è rappresentato dalla speranza (volutamente minuscola e laica) che le cose possano cambiare in meglio, che se il peggio è stato fatto non si esageri, che si possa tornare indietro; se possibile.
Ecco, quindi, la retromarcia.
Parlo di retromarcia perché pochi minuti fa il conducente del treno Roma-Nettuno si dimentica la fermata di Torricola, “inchioda” e, lentamente, torna indietro per allinearsi alla banchina. Può accadere, non ne faccio una colpa, ma lo ha potuto fare perché forse non in ritardo, perché su quel binario non c’è traffico, perché può farlo.
Noi possiamo ancora fare retromarcia?
Leggo che in Italia ci sono (almeno) due focolai di guerriglia urbana: per i rifiuti e le quote latte; leggo che una legge continua a occupare il parlamento da 16 anni e il beneficiario di questa legge è al singolare; leggo che il Grande Fratello ha registrato 5 milioni di spettatori; leggo (e vivo) che la scuola e l’università hanno subito tagli così critici da minare alla base la funzione culturale e critica che le spetta da millenni; leggo che l’inps non potrà pubblicare le inesistenti nostre pensioni per non correre il rischio di una rivolta sociale; leggo che ogni cosa è aumentata, così come è ridotto il potere d’acquisto della gente come me; leggo che si applaude a un assassino perché in fondo si è razzisti; leggo che una scuola pubblica italiana ha simboli secessionisti; leggo che l’ambiente è abbandonato al degrado, che i fondi per i parchi vengono tagliati.
Leggo troppe cose e la soluzione non è che io smetta di leggere, ma che qualcosa cambi. E che se non cambi, questo qualcosa possa almeno tornare indietro, fare retromarcia.
Come il conducente del treno di stamane.
Finché possibile.
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