…e nelle pieghe della mano…
Osservare le proprie mani e leggerci ricordi, emozioni, segni, storie della propria vita.
Bell’esercizio quello fatto questa sera in un incontro di formazione, grazie a due psicologi. Un esercizio di ascolto del proprio corpo, di lettura profonda della propria storia, attraverso una parte di sé che è con noi da sempre, che ci accompagna in tanti aspetti della vita che quasi neppure ce ne accorgiamo!
Eppure le mani dicono molto di noi: dicono se siamo trascurati o curati, se abbiamo tic evidenti, se siamo estroversi o introversi, se abbiamo paura o meno. Parlano di noi più di quanto noi parliamo grazie a loro. In esse leggiamo l’età che avanza, i traumi della vita, i nostri vizi, la nostra professione; con esse entriamo in contatto con gli altri, schiviamo le persone, accarezziamo e tocchiamo, ci proteggiamo e ci vergogniamo.
Cosa leggo io nelle mie mani? Ci ho riflettuto a lungo, qualcosa l’ho condivisa con le altre persone presenti. Qui provo a ritornare su questi ricordi.
Nelle mie mani leggo principalmente due sentimenti opposti, uno di amore (più tenerezza) e l’altro di odio (più rabbia); il primo è un dono e ne sento quasi il bisogno, mentre il secondo è vincolato agli istinti e ne ho sempre fatto volentieri a meno.
Il primo sentimento è legato all’utilizzo della mano per accarezzare o per prendere per mano. Ho in mente una serie di ricordi: la mano di mio nonno che, pochi giorni prima di morire e in preda a una febbre molto alta, forse incosciente mi accarezza il viso (un gesto che non ricordo avesse mai fatto in maniera così tenera) quasi a ringraziarmi della veglia di quella notte accanto al suo letto e a rincuorarmi; lo studente che seguo quest’anno che, salendo le scale, trova in me – suo insegnante rigoroso che lo precede sempre per incitarlo a camminare e non distrarsi – il suo aiuto e, ancor di più, la persona verso cui fidarsi e affidare quelle scale difficili da salire; il contatto delle mani delle ragazze, soprattutto nei primi momenti di conoscenza quando rompono quel distacco di necessità e di riserbo, concedendoti di camminare accanto loro, insieme a loro, strette a loro.
Il secondo sentimento è ambivalente: negativo di per sé, ma positivo per il modo con cui io razionalizzo la cosa. Parlo dell’aggressività dovuta a un diverbio, a un atto di accusa o un semplice fraintendimento; parlo del fare a botte, dell’utilizzo della mano per schiaffeggiare, per colpire con un pungo l’altra persona. Alcune volte mi capita di vedere la mia mano, osservarla e crederla abbastanza forte. Capita nella pallavolo, quando schiacci o nell’afferrare un oggetto, nel sollevare un peso. Stringere la mano in pugno è spesso un modo di superare tante tensioni, così come dare un colpo secco, forte, talvolta eccessivo a porte e muri. Quante volte nell’adolescenza! Eppure la scelta di menare un’altra persona non l’ho mai né condivisa né messa in pratica.
Ci sono anche altre emozioni o forse sentimenti: il dispiacere di non aver mai concretizzato nulla con la musica, ad esempio. Non ho mai avuto mani da pianista (le ho da organista, diceva la mia insegnante di pianoforte), ma sono sempre stato profondamente pigro nella tecnica e poco intuitivo nella prima lettura. L’entusiasmo col quale entro in relazione con le persone stringendo loro le mani, abbracciandole, accarezzandole. La passione con la quale il tocco diviene abilità nello sfiorare, nell’eccitare, nello sbottonare (qui c’è sempre un po’ di impaccio), nel conquistare. La spavalderia nello scrivere, nell’utilizzo delle dita della mano sul cellulare o sulla tastiera per narrare, raccontare, emozionare. L’inadeguatezza nel ritrovare davanti a me un foglio di carta e dover recuperare dentro di me quella capacità di scrittura che ormai sta svanendo. La curiosità nel provare ad imparare quei pochi segni della LIS che mi servono per entrare sempre più in contatto con il ragazzo disabile che seguo, quando si stanca di o non vuole o non riesce a verbalizzare.
Ci sono poi tanti ricordi, dalle cadute con la bici e i segni che queste hanno lasciato in quei mesi alle strette di mano date; dalle guance accarezzate alle lacrime asciugate; dalle scale eseguite al pianoforte alle mani sporche di tempera per le attività svolte a scuola.
E così via, mi verrebbe da dire, fino all’infinito, ovvero fino a che la mia vita narrerà e costruirà vita e con essa ricordi. Vissuti sporcandosi le mani.
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